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Valutare il Capitale Umano e Integrarlo nell’Ottimizzazione di Portafoglio

✍️ Redazione14 min di lettura

Valutare il Capitale Umano e Integrarlo nell’Ottimizzazione di Portafoglio

Che cos’è il capitale umano e perché è rilevante?

In finanza personale, per capitale umano si intende il valore attuale di tutti i redditi da lavoro futuri che un individuo guadagnerà nella sua vita lavorativa[1]. Spesso il capitale umano è l’asset più prezioso per un investitore giovane, ben più del patrimonio finanziario accumulato, ed è una componente intangibile ma cruciale della ricchezza totale dell’individuo[2]. Secondo l’ISTAT, il valore medio del capitale umano di un italiano è stato stimato attorno a 342.000 €[3], a riprova del peso significativo di questa risorsa. Ignorare il capitale umano nella pianificazione finanziaria significa trascurare una parte sostanziale della ricchezza e del profilo di rischio complessivo di una persona.

Dal punto di vista finanziario, possiamo considerare il capitale umano come un asset aggiuntivo nel portafoglio complessivo di un individuo[4]. Pur non essendo negoziabile (non si può vendere o diversificare direttamente sul mercato), esso presenta un profilo di rischio/rendimento che deve essere tenuto in conto. In particolare, età, stabilità del lavoro e settore di attività influenzano il valore e il rischio del capitale umano. All’inizio della carriera si hanno molti anni di reddito davanti (capitale umano elevato) ma pochi risparmi accumulati; viceversa, verso la pensione il capitale umano si riduce mentre il patrimonio finanziario aumenta grazie ai risparmi e agli investimenti effettuati negli anni[2]. Questo significa che da giovani la capacità di prendere rischio finanziario è maggiore, perché sostenuta da un ampio capitale umano “assicurabile” nel tempo, mentre in età avanzata occorre essere più conservativi poiché la quota di ricchezza dipendente dal lavoro è minima. Come osservato da Bodie, Merton e Samuelson (1992), la flessibilità nel lavoro (es. la possibilità di prolungare la carriera o fare straordinari) offre una sorta di assicurazione contro i rischi finanziari, incoraggiando i giovani lavoratori a investire una porzione maggiore del loro patrimonio finanziario in azioni rispetto agli investitori più anziani[5].

Figura 1: Andamento semplificato del capitale umano e finanziario durante il ciclo di vita. In giovane età il capitale umano (linea gialla) domina la ricchezza totale, mentre il patrimonio finanziario accumulato (linea arancione) è inizialmente ridotto e cresce nel tempo con il risparmio. La linea rossa tratteggiata indica la ricchezza totale (capitale umano + finanziario) in questo esempio ipotetico.

Come mostra la Figura 1, per un individuo giovane la maggior parte della ricchezza è costituita dal capitale umano, che viene progressivamente convertito in ricchezza finanziaria man mano che si risparmia e investe nel corso della vita lavorativa. La ricchezza totale tende a crescere nel tempo se parte del reddito da lavoro viene risparmiato (nel nostro esempio abbiamo ipotizzato un incremento tale da mantenere costante la somma H+W). In generale, il rapporto fra capitale umano e capitale finanziario (H/W) varia nel ciclo di vita: è molto alto all’inizio (lavoratori agli esordi con pochi risparmi) e tende a zero in prossimità della pensione[6]. Ne consegue che un giovane investitore con grande “ricchezza in capitale umano” e pochi asset finanziari dovrebbe investire in misura relativamente maggiore in strumenti rischiosi (azioni) rispetto a un investitore maturo vicino al pensionamento con basso capitale umano residuo[6]. Questo è il principio alla base dei classici fondi life-cycle o dei consigli finanziari che suggeriscono elevati pesi azionari da giovani e via via più obbligazioni con l’avanzare dell’età.

Un altro motivo per cui il capitale umano è rilevante: funge da ammortizzatore del rischio. Se il reddito da lavoro è stabile, l’investitore può permettersi di prendere più rischio con gli investimenti, sapendo di poter contare su un flusso di cassa certo per coprire le spese (e magari acquistare ancora attivi finanziari a prezzi di saldo in caso di ribassi di mercato). Al contrario, se il reddito lavorativo è volatile o incerto, la capacità di sopportare perdite finanziarie diminuisce. In sostanza, il profilo di rischio del capitale umano dovrebbe guidare la composizione del portafoglio finanziario dell’investitore[7]. Elementi come la stabilità del posto di lavoro, la volatilità dei redditi e il settore professionale vanno considerati attentamente nell’asset allocation complessiva[7]. Come regola generale, il capitale umano va “coperto” o compensato dal capitale finanziario: se il lavoro di una persona è rischioso, il portafoglio finanziario dovrà essere più conservativo; viceversa, un capitale umano molto sicuro permette di investire il patrimonio finanziario in modo più aggressivo[8][9].

Come valutare il capitale umano

Valutare il capitale umano significa calcolare il valore attuale dei redditi futuri attesi di un individuo. In pratica, è un esercizio di attualizzazione analogo a quello che si farebbe per valutare un titolo obbligazionario o una rendita. Formalmente si può scrivere:

$$ H = \sum_{t=1}^{T} \frac{E(Reddito_t)}{(1 + r_d)^t}, $$

dove $T$ è il numero di anni lavorativi rimanenti e $r_d$ è il tasso di sconto appropriato. La scelta del tasso di sconto è cruciale: per redditi molto sicuri (es. stipendio di un dipendente pubblico a tempo indeterminato) si può usare un tasso vicino al rendimento dei titoli di Stato o al tasso privo di rischio. Per redditi più incerti andrà aggiunto un premio per il rischio, analogamente a quanto si fa per il costo del capitale azionario di un’azienda. Ad esempio, un giovane impiegato con stipendio stabile di 30.000 € annui e 27 anni fino alla pensione potrebbe avere un capitale umano intorno agli 810.000 € semplicemente moltiplicando reddito annuo per anni restanti[10] (ignorando per semplicità crescita e sconto). Più rigorosamente, se consideriamo lo stesso reddito di 30.000 € con tasso di sconto reale del 2%, il valore attuale dei prossimi 27 anni di stipendio risulta circa 600.000–700.000 €, a seconda dell’ipotesi di crescita del reddito (qui assumiamo una crescita nulla in termini reali, quindi solo attualizzazione). Un risultato simile (qualche centinaio di migliaia di euro) vale per molti lavoratori: questo spiega perché il capitale umano rappresenta spesso la fetta principale della ricchezza nelle prime fasi della vita lavorativa.

È importante notare che il valore del capitale umano diminuisce nel tempo: ogni anno che passa si “consuma” una parte della capacità di guadagno futura (oltre al fatto che si avvicina la pensione). Inoltre, eventi avversi possono ridurre H in modo improvviso (perdita del lavoro, invalidità, decesso – rischi contro cui è opportuno assicurarsi). Al contrario, investire in formazione ed esperienza può aumentare i redditi futuri attesi, e quindi incrementare il capitale umano. Anche cambiamenti nei tassi di interesse influiscono: un aumento del tasso di sconto (es. tassi di mercato più alti o maggior percezione di rischio sul proprio lavoro) riduce il valore attuale del capitale umano, mentre tassi più bassi lo aumentano.

Capitale umano e asset allocation: teoria e modelli

Includere il capitale umano nei modelli di asset allocation significa considerare l’investitore non solo in base al patrimonio finanziario che possiede, ma anche alla “posizione implicita” derivante dal suo lavoro. Dal punto di vista teorico, questo problema è stato affrontato da numerosi studi accademici nel contesto dei modelli di portafoglio con background risk (rischio in background non negoziabile). Uno dei risultati fondamentali (Bodie, Merton e Samuelson, 1992) è che un investitore con reddito da lavoro certo dovrebbe orientare il proprio portafoglio finanziario maggiormente verso asset rischiosi rispetto a un investitore privo di reddito da lavoro[5][11]. In altri termini, il capitale umano privo di rischio agisce come un “obbligazione implicita” nel patrimonio dell’investitore. Chi dispone di un’entrata sicura e stabile (ad esempio un lavoratore pubblico con contratto a tempo indeterminato) è finanziariamente simile a qualcuno che possiede una grande obbligazione che paga cedole (lo stipendio) indipendenti dall’andamento del mercato. Per bilanciare il portafoglio totale, tale investitore dovrebbe detenere una quota elevata di azioni nel proprio portafoglio finanziario, al limite anche indebitandosi (leva finanziaria) per acquistare azioni se il rapporto H/W è molto alto[11]. Infatti, in teoria, se il capitale umano è assimilabile a un titolo risk-free considerevole, l’asset allocation ottimale prevede di prendere più rischio finanziario per raggiungere un equilibrio rischio/rendimento desiderato.

D’altro canto, se il capitale umano è rischioso e correlato con i mercati finanziari, esso assomiglia di più a un “asset azionario implicito” nel patrimonio dell’individuo. Ad esempio, un imprenditore il cui reddito dipende dall’andamento economico generale o un lavoratore con stock option e bonus legati al prezzo delle azioni della propria azienda, hanno capitale umano che fluttua in modo equity-like. In questi casi la teoria suggerisce di ridurre l’esposizione azionaria del portafoglio finanziario per evitare di essere esposti due volte allo stesso rischio. Un celebre esempio è quello dei dipendenti Enron che avevano sia il salario sia il portafoglio pensionistico concentrati nelle azioni Enron – situazione da evitare perché il fallimento della società ha fatto perdere contemporaneamente lavoro e risparmi a queste persone. In generale, il principio di diversificazione applicato al capitale umano implica che l’investitore dovrebbe diminuire il peso in quegli attivi finanziari il cui rendimento è positivamente correlato con il proprio reddito da lavoro[12][13]. È un’estensione naturale del modello di Markowitz: se il tuo stipendio dipende fortemente da un certo settore o dall’andamento del mercato azionario, conviene investire meno (o per nulla) su quegli stessi fattori di rischio. Studi empirici negli USA hanno stimato, ad esempio, che per un giovane lavoratore autonomo (un libero professionista o imprenditore) con alto livello di istruzione, la quota azionaria ottimale di portafoglio risulti 43 punti percentuali più bassa rispetto a quella di un lavoratore dipendente con caratteristiche simili[14]. Ciò a causa della maggiore rischiosità e correlazione del reddito dei lavoratori autonomi con l’andamento del mercato azionario (redditi più ciclici), mentre un lavoratore dipendente, soprattutto nel settore pubblico, ha entrate poco sensibili al ciclo economico[15][8].

Integrare il capitale umano nella tradizionale mean-variance optimization di Markowitz si può fare estendendo il concetto di wealth per includere la ricchezza umana accanto a quella finanziaria. Formalmente, in un modello a un periodo con un asset rischioso (azioni) e uno risk-free (obbligazioni), il problema diventa massimizzare l’utilità attesa in funzione della ricchezza finale $W_{\text{finale}} = W \cdot (w R_m + (1-w) r_f) + Y$, dove $W$ è il patrimonio finanziario iniziale, $w$ è la percentuale investita in azioni, $R_m$ il rendimento dell’azionario, $r_f$ il rendimento risk-free e $Y$ il reddito da lavoro random del periodo[16][17]. Il termine $Y$ introduce una covarianza aggiuntiva con $R_m$. Risolvendo le condizioni del primo ordine, si trova che la presenza del reddito modifica i pesi di portafoglio ottimali aggiungendo un termine correttivo legato alla covarianza tra reddito e mercato[18]. In simboli, il peso ottimale delle azioni risulta approssimativamente:

$$ w^*_{\text{azioni}} \;=\; \frac{E[R_m] - r_f}{A\,\sigma_m^2}\;-\;\frac{\Cov(Y,\;R_m)}{\sigma_m^2\,W}, $$

dove $A$ rappresenta il coefficiente di avversione al rischio dell’investitore, $\sigma_m^2$ è la varianza del rendimento azionario, e $\Cov(Y,R_m)$ è la covarianza tra il reddito da lavoro e il rendimento di mercato (quest’ultima espressione ha effetto solo se tale covarianza è diversa da zero)[18]. In parole semplici: - Se il reddito $Y$ non ha correlazione col mercato ($\Cov=0$), la formula si riduce a quella classica di Markowitz, ma con $W$ più piccolo rispetto alla ricchezza totale $W+H$. Questo equivale a investire di più in azioni come percentuale del solo portafoglio finanziario. Infatti, in tal caso il capitale umano è assimilabile a un titolo privo di rischio e il peso delle azioni va aumentato in proporzione a $H/W$[11][19]. - Se $Y$ è positivamente correlato alle azioni ($\Cov>0$), il termine sottrattivo fa diminuire $w^$. Intuitivamente, il reddito sta aggiungendo rischio di mercato al nostro balance sheet personale, quindi occorre prenderne meno nel portafoglio finanziario[20]. In casi estremi, $w^$ potrebbe diventare negativo, indicando che l’allocazione ottima sarebbe shortare (vendere allo scoperto) l’asset rischioso per compensare l’esposizione implicita del reddito. Nella pratica, però, gli investitori al dettaglio non possono o non vogliono assumere posizioni short – semplicemente terranno zero azioni (o molto poche) se il proprio lavoro già li espone al rischio azionario. - Se $Y$ fosse negativamente correlato con il mercato ($\Cov<0$), allora il reddito da lavoro funge da copertura (hedge) rispetto ai rischi finanziari. Un esempio potrebbe essere un dipendente pubblico il cui stipendio è garantito anche durante crisi economiche: in tal caso il capitale umano ha una natura anti-fragile rispetto ai mercati. La teoria predice che l’investitore potrebbe investire più del normale in azioni, sfruttando la bassa correlazione (in casi estremi, anche oltre il 100% del proprio patrimonio finanziario, finanziandosi a leva)[11]. Tuttavia, correlazioni significativamente negative tra redditi da lavoro e mercati sono rare; studi indicano che, a livello aggregato, la correlazione fra shock del reddito da lavoro e rendimenti azionari è tipicamente bassa o leggermente positiva (intorno a 0.0–0.1)[21].

Un modo utile di pensare al capitale umano è domandarsi: “Il mio lavoro mi rende più simile a un’obbligazione o a un’azione?”[22]. Un insegnante di scuola, un impiegato statale o un professore con posto fisso hanno redditi stabili e poco sensibili ai cicli economici: il loro capitale umano è bond-like. Invece un agente immobiliare con redditi a provvigione o un professionista del settore tech in una startup hanno redditi volatili e fortemente dipendenti dall’andamento del business: il loro capitale umano è stock-like. Nel primo caso, l’asset allocation finanziaria dovrebbe pendere più verso azioni (poiché il “bond” ce l’hanno già via lavoro), mentre nel secondo caso andrà tiltata verso obbligazioni, per controbilanciare il rischio elevato del lavoro[8][9]. La situazione peggiore è quando sia capitale umano che finanziario sono concentrati sullo stesso rischio (correlazione alta): ad esempio un ingegnere petrolifero che investe tutti i suoi risparmi in azioni del settore energia sta mettendo tutte le uova nello stesso paniere; sarebbe più saggio per lui diversificare investendo in settori non correlati al prezzo del petrolio[23].

Infine, dobbiamo considerare i vincoli pratici. La teoria in assenza di vincoli potrebbe suggerire, come visto, pesi anche superiori al 100% in azioni (leva) o negativi (short selling) per il portafoglio finanziario. Nella realtà, gli investitori retail e persino HNWI raramente utilizzano leva significativa nel portafoglio, e tipicamente non fanno short selling di asset rischiosi per coprirsi. Inoltre esistono vincoli regolamentari e di buon senso (es. un fondo pensione non può shortare azioni). Pertanto, l’ottimizzazione con capitale umano va interpretata tenendo conto di questi limiti: spesso la soluzione ottima teorica “senza vincoli” verrà ricondotta ai limiti del 0%–100% sulle asset class tradizionali. Nei due esempi numerici seguenti vedremo proprio l’impatto di tali vincoli.

Esempi pratici: integrazione del capitale umano nell’asset allocation

Per illustrare concretamente come si valuta il capitale umano e lo si incorpora nelle scelte di portafoglio, consideriamo due casi molto diversi:

Esempio 1: Una famiglia con due redditi stabili (uno impiego pubblico, uno impiego privato a tempo indeterminato), orizzonte di lungo termine, bassa propensione al rischio.

Esempio 2: Un investitore imprenditore con redditi volatili ma ad alto potenziale di crescita, il cui capitale umano è più simile a un asset rischioso (equity-like).

Per ciascun esempio calcoleremo il valore del capitale umano, il rapporto H/W (Human capital / Wealth finanziario), i pesi ottimali di portafoglio in un semplice mix azioni + obbligazioni, l’effetto di vincoli pratici (no vendite allo scoperto, no leva) e un’analisi di sensitività al variare di alcuni parametri chiave (correlazione, tasso di sconto, volatilità del reddito).

Esempio 1: Famiglia a doppio reddito stabile, lungo termine

Supponiamo una giovane famiglia composta da due coniugi: - Lui impiegato pubblico con stipendio netto annuo €30.000; - Lei impiegata in un’azienda stabile (grande impresa settore non ciclico) con stipendio netto annuo €25.000.

Entrambi hanno circa 35 anni e contano di lavorare fino a 65 anni (30 anni all’orizzonte). Possiedono un patrimonio finanziario investibile di €200.000, attualmente investito 50% in obbligazioni e 50% in azioni (allocazione iniziale bilanciata). Propensione al rischio: moderata (supponiamo coefficiente $A$ tale che in assenza di redditi la combinazione 50/50 sia considerata adeguata).

  1. Valore attuale del capitale umano (H): Consideriamo i due redditi come abbastanza sicuri – l’impiego pubblico è virtualmente garantito (rischio nullo di default del datore di lavoro), quello privato è stabile con bassa probabilità di perdita del posto. Usiamo un tasso di sconto real (al netto di inflazione) del 2% annuo. I redditi complessivi attuali sono €55.000 annui. Per semplicità assumiamo che, al netto dell’inflazione, rimangano costanti nel tempo (ipotizziamo aumenti salariali nominali ~inflazione). Il valore attuale di 30 anni di €55k annui, attualizzati al 2%, è calcolabile con la formula della rendita:
    $$ H \approx 55.000 \times \frac{1 - (1+0,02)^{-30}}{0,02} \approx 55.000 \times 22,396 \approx 1.231.800 \; €. $$
    Abbiamo quindi circa H = 1,23 milioni di euro come capitale umano complessivo della famiglia. (Se ipotizzassimo qualche rischio in più o un tasso più alto, H sarebbe un po’ minore; con tasso 2% e reddito sicuro è una stima ragionevole. Notiamo che la gran parte di H è dovuta al reddito pubblico molto sicuro).
  2. Rapporto H/W: H ~ €1.230k, W = €200k, quindi H/W ≈ 6,15. Il capitale umano è oltre 6 volte il patrimonio finanziario – la stragrande maggioranza della ricchezza totale (circa l’86%) risiede nei futuri redditi da lavoro. Questo dato iniziale è tipico per famiglie giovani: il “bilancio” complessivo è dominato dal valore attuale dei futuri stipendi.
  3. Pesi di portafoglio ottimali (azioni vs obbligazioni): Dato che il capitale umano qui è bond-like (specie la componente di lui, impiego pubblico, che potremmo considerare quasi risk-free e non correlata al mercato), l’investitore di fatto possiede già una grossa “obbligazione implicita” da ~1,23 milioni €. Per mantenere un profilo rischio/rendimento bilanciato, il portafoglio finanziario dovrebbe essere molto più orientato alle azioni di quanto non suggerirebbe il semplice questionario di rischio basato su W=200k. In termini quantitativi, se senza considerare il reddito la famiglia avrebbe scelto 50% azioni (100k) e 50% obbligazioni (100k) su W=200k, con il capitale umano incluso l’allocazione ottimale cambia drasticamente. Idealmente, vorrebbero che la quota di azioni sul totale della ricchezza (H+W) fosse allineata alla loro tolleranza al rischio. Immaginiamo che con profilo moderato vorrebbero, sul totale, un 50% di esposizione “azionaria” e 50% “obbligazionaria”. Ma poiché H è tutto obbligazionario (sicuro) e rappresenta l’86% della ricchezza, significa che in totale ora hanno solo ~14% in attività rischiose (100k azioni su ~1.430k totali). Per arrivare a un equilibrio 50/50 sul totale, dovrebbero aumentare enormemente la quota azioni nel portafoglio finanziario – in teoria ben oltre il 100% di W (cosa possibile solo a leva). Il calcolo teorico: quota azioni target = 50% di 1.430k ≈ 715k € in azioni; ne hanno solo 100k; dovrebbero investire altri 615k in azioni presi a prestito, il che equivale a w* ≈ 357% del portafoglio finanziario! Ovviamente ciò non è fattibile nei fatti per un investitore retail medio.
  4. In assenza di leva, il massimo che possono fare è investire 100% di W in azioni, cioè €200k in azioni. Questo porterebbe l’esposizione azionaria totale a ~€200k su €1.430k ≈ 14% (comunque ancora bassa in assoluto). Dunque l’ottimo vincolato (senza short né leva) per questa famiglia è di investire tutto il portafoglio finanziario in azioni, o quantomeno una percentuale molto alta (ben oltre il 50% tradizionale)[11][24]. Ciò può sembrare aggressivo, ma è coerente con il fatto che il loro rischio totale rimane moderato: il grosso del patrimonio (lo stipendio pubblico soprattutto) è sicuro. Possiamo anche dire che, in pratica, questa famiglia potrebbe prendere in considerazione l’uso di una moderata leva (ad esempio un mutuo investito) per aumentare l’esposizione azionaria totale, se fosse coerente con i loro obiettivi e tolleranza al rischio. Tuttavia, restiamo nel caso conservativo in cui evitano la leva finanziaria e si limitano a ribilanciare il portafoglio verso più azioni.
  5. Riassumendo, allocazione ottimale per l’esempio 1 (con vincoli): 100% azioni, 0% obbligazioni nel portafoglio finanziario da 200k. Il capitale umano è già di per sé equivalente a ~1,23M in obbligazioni, quindi il portafoglio complessivo equivalente (se potessimo sommare H e W) sarebbe circa 86% bond / 14% equity in termini di esposizione economica. È interessante notare che il consiglio tradizionale per una coppia 35enne con profilo moderato (es. 60/40) qui è completamente stravolto: grazie alla sicurezza dei redditi, possono permettersi (anzi, dovrebbero) detenere una percentuale di azioni molto superiore per massimizzare l’efficienza. Questo non significa che debbono assumere più rischio di quanto vogliano, ma che se mantengono un portafoglio troppo conservativo (ad es. 50/50) il loro rischio totale risulterà eccessivamente basso rispetto a quello che potrebbero sopportare, e soprattutto perderanno opportunità di rendimento nel lungo periodo.
  6. Effetto dei vincoli: Come discusso, l’assenza di vincoli avrebbe portato addirittura a un peso azionario > 100%. Con il vincolo di no leverage, siamo limitati a 100% azioni su W. Inoltre, ipotizziamo anche un vincolo no short selling sulle obbligazioni – significa che non possiamo prendere a prestito contro il reddito futuro. In pratica, la famiglia non può “capitalizzare” il proprio capitale umano se non attraverso mutui o prestiti personali (che comunque dovrebbero essere restituiti con il reddito futuro). Quindi il vincolo fondamentale qui è l’impossibilità di sfruttare pienamente quell’H enorme per investire di più. Il risultato è un portafoglio sub-ottimale dal punto di vista teorico (solo 14% di esposizione azionaria totale invece del 50% desiderato). Questo gap potrebbe ridursi col tempo: man mano che risparmiano e W cresce rispetto a H (H/W calerà negli anni), investendo sempre al 100% in azioni il loro peso azionario totale aumenterà gradualmente. Inoltre, col passare del tempo, H diminuirà (perché meno anni di stipendio restano) e quindi l’estrema aggressività non sarà più necessaria: intorno ai 50 anni potrebbero trovarsi naturalmente con un equilibrio migliore (W più grande, H più piccolo, quindi la quota 100% azioni su W rappresenterà magari un 30-40% della ricchezza totale). In pratica stanno seguendo una strategia di investimento molto aggressiva da giovani che verrà automaticamente bilanciata dal decumulo di capitale umano col tempo – in linea con i principi dei fondi life-cycle.
  7. Analisi di sensitività: Esaminiamo infine come cambierebbero le conclusioni al variare di alcuni parametri: - Correlazione reddito-mercato: Abbiamo assunto che i redditi fossero sicuri o non correlati. Se per ipotesi il lavoro della coniuge nel settore privato fosse leggermente correlato col ciclo economico (diciamo correlazione positiva modesta con l’azionario), il capitale umano complessivo diventerebbe un po’ più rischioso. La covarianza $\Cov(Y,R_m)$ sarebbe > 0, riducendo leggermente il termine ottimale di peso azionario. Probabilmente invece di 100% azioni, la famiglia potrebbe tenere qualcosa in obbligazioni (es. 80% azioni, 20% obbligazioni) per hedgiare quella parte di reddito ciclica. Tuttavia, dati i numeri elevati di H rispetto a W, anche con correlazioni moderate il consiglio rimane: largamente sovrappesare le azioni rispetto a un investitore senza reddito da lavoro. Solo con correlazioni molto alte (scenario improbabile per questi lavori) si consiglierebbe una riduzione significativa della quota azionaria. - Tasso di sconto: Se anziché il 2% usassimo un tasso più alto per valutare H (per tener conto di rischio di carriera, incertezza contrattuale, ecc.), il valore di H scenderebbe. Ad esempio a parità di redditi, con $r_d=4\%$, H calcolato scende da 1,23M a circa 1,0M €. Ciò riduce H/W a ~5, e l’allocazione ottima sarebbe un po’ meno estrema (forse ~80%–100% azioni invece di >100%). In pratica, maggiore incertezza sul lavoro porta a considerare il capitale umano meno simile a un bond, quindi a non spingere al massimo sulle azioni. Nel caso limite in cui uno dei due rischiasse di perdere il lavoro, bisognerebbe introdurre un buffer più ampio di obbligazioni e liquidità per prudenza. - Volatilità del reddito: Nella mean-variance pura, la varianza di $Y$ da sola non influenza i pesi (conta solo la covarianza)[25]. Tuttavia, in realtà un reddito molto volatile potrebbe implicare anche difficoltà di pianificazione e maggiore avversione al rischio (effetto background risk con utilità CRRA). Se ipoteticamente gli stipendi di questa famiglia oscillassero imprevedibilmente di ±20% l’anno, pur non correlati col mercato, probabilmente consigli pratici spingerebbero ad essere un po’ più cauti (mantenere ad esempio un cuscinetto di liquidità e qualche obbligazione in più), poiché redditi variabili rendono più difficile compensare eventuali perdite finanziarie in un dato anno. Nel nostro esempio però i redditi erano stabili, quindi questo effetto non si manifesta.

Esempio 2: Imprenditore con reddito volatile e alto potenziale

Consideriamo ora un caso opposto: un investitore individuale di 40 anni, imprenditore nel settore tecnologico. Il suo reddito annuale è altamente variabile: in media potrebbe generare €80.000 annui, ma con forte incertezza (potrebbero essere 0 in anni di magra o 200k+ in anni ottimi). Inoltre, essendo il settore tech e startup fortemente legato al ciclo economico e ai mercati finanziari (accesso a capitali, valutazioni, spesa delle aziende), c’è una correlazione positiva elevata fra il suo reddito e l’andamento del mercato azionario (diciamo indicativamente $\rho \approx 0,6-0,8$). L’imprenditore dispone di un patrimonio finanziario liquido di €300.000, investito attualmente 70% in azioni globali e 30% in obbligazioni (è un portafoglio aggressivo, rispecchiando la sua attitudine imprenditoriale al rischio). Non ha altre fonti di reddito stabili; l’azienda stessa in cui opera assorbe molto capitale umano e potrebbe in futuro essere venduta (realizzando capitale finanziario, ma ciò è incerto).

  1. Valore attuale del capitale umano (H): Stimare H qui è più complesso a causa dell’elevata incertezza. Possiamo provare un approccio prudenziale: consideriamo €80.000 l’anno come reddito atteso, ma applichiamo un tasso di sconto alto per riflettere il rischio (simile a un costo del capitale di un investimento equity). Supponiamo $r_d = 8\%$ reale annuo. Inoltre l’orizzonte lavorativo potrebbe essere più lungo (un imprenditore potrebbe lavorare oltre i 65 anni, ma il settore tech è competitivo e può “invecchiare” prima – stimiamo altri 20 anni di attività intensa). All’8% per 20 anni, il fattore di attualizzazione è ≈ 9,8. Quindi $H \approx 80.000 \times 9,8 \approx 784.000 \,€$. Possiamo arrotondare a ~€800.000 come stima di capitale umano. È significativo notare che, nonostante il reddito atteso sia più alto di quello della famiglia dell’esempio 1, il valore di H è inferiore, a causa del forte rischio e del maggiore tasso di sconto applicato (il che riduce il peso dei flussi futuri). In altri termini, questo capitale umano “vale” meno sul mercato, perché è meno certo. (Se l’imprenditore avesse un’attività di successo e relativamente stabile, potremmo usare un tasso più basso o includere la possibilità di vendere l’azienda a fine carriera, aumentando H; ma restiamo cauti).
  2. Rapporto H/W: Abbiamo H ~ €800k, W = €300k, quindi H/W ≈ 2,67. Il capitale umano rappresenta circa il 72% della ricchezza totale (€800k su €1.100k totali). Pur essendo dominante, è una percentuale più bassa rispetto all’esempio 1, segno che questo individuo ha già convertito parte del suo capitale umano in ricchezza finanziaria (ha accumulato 300k, e H è stato “decurtato” dal forte sconto).
  3. Pesi di portafoglio ottimali (azioni vs obbligazioni): In questo caso, il capitale umano è fortemente equity-like. Possiamo immaginare che dal punto di vista rischio/rendimento complessivo, l’imprenditore possiede già “dentro di sé” l’equivalente di un investimento azionario di notevole entità. Una stima grossolana: se la correlazione con il mercato è 0,7 e la volatilità del reddito (in % del suo valore) è dell’ordine del 50% annuo, la beta del reddito rispetto al mercato potrebbe essere intorno a 0,7 * (0,5 * σ_market) (questo solo per intuire l’esposizione). Potremmo dire che su €800k di capitale umano, forse l’equivalente di €400k-500k si comporta come un “indice azionario” (il resto del rischio è idiosincratico non correlato). Dunque, già così l’investitore è esposto come avesse mezzo milione in azioni. Aggiungerci il suo portafoglio finanziario attuale (210k azioni su 300k) porta l’esposizione azionaria totale a ~€710k su €1.100k, cioè ~65% della ricchezza totale in rischio equity correlato. Se il suo profilo di rischio complessivo fosse moderato, questa percentuale sarebbe troppo alta. Anche se fosse aggressivo, il fatto che la sua stessa carriera sia a rischio rende prudente non eccedere oltre.
  4. La mean-variance con covarianza positiva suggerirebbe un peso ottimale $w^_{\text{azioni}}$ più basso del caso senza capitale umano. In effetti, potremmo impostare l’equazione precedente: senza reddito, con $A$ moderato, avrebbe tenuto magari 70% azioni (come fa ora). Ma la correzione $\frac{\Cov(Y,R_m)}{\sigma^2 W}$ è enorme e potrebbe addirittura rendere $w^$ negativo. Intuitivamente, l’allocazione ottimale teorica potrebbe richiedere di vendere allo scoperto azioni per compensare il rischio del proprio lavoro[20]. Nella pratica, ciò significa semplicemente azzerare o ridurre drasticamente la componente azionaria finanziaria.
  5. Dunque, il consiglio per l’imprenditore è di invertire l’attuale mix portafoglio e passare a una posizione molto più conservativa, ad esempio 0% azioni, 100% obbligazioni (o comunque un peso azionario ben inferiore al 70% attuale, probabilmente sotto il 20%). In prima approssimazione, potrebbe considerare di investire tutto il patrimonio finanziario in obbligazioni di alta qualità e liquidità, così che il suo profilo di rischio totale rimanga bilanciato: continuerà ad avere molta esposizione azionaria implicita nel suo lavoro, ma almeno i suoi risparmi saranno al sicuro. Questo ragionamento è coerente con il principio di hedging: il portafoglio deve compensare i rischi del capitale umano[23]. Per fare un parallelo, è come se l’imprenditore avesse un’enorme posizione long non diversificabile nel “settore tech” tramite il suo lavoro – quindi, saggiamente, con i suoi investimenti personali dovrebbe evitare di essere lungo sul tech o sul mercato in generale, e anzi scegliere asset decorrelati (obbligazioni governative, cash, magari immobili).
  6. Effetto dei vincoli: In questo scenario, l’ottimo teorico non vincolato potrebbe essere investire short in azioni (coprire parte del rischio lavoro vendendo futures o ETF short sul mercato). Se l’imprenditore fosse sofisticato, potrebbe effettivamente farlo: ad esempio, vendere futures sull’indice tecnologico NASDAQ per un controvalore di €200k – così, se il mercato scende (situazione in cui probabilmente anche i suoi affari vanno male), il guadagno sul future compenserebbe in parte la perdita di reddito. Tuttavia, la maggior parte degli investitori non fa hedging esplicito del proprio reddito con derivati. Pertanto, consideriamo il vincolo no short: l’asset allocation più difensiva possibile è tenere 0% in azioni. Questo è il corner solution vincolato. La sua esposizione azionaria totale resterebbe quella implicita di H (difficile da quantificare precisamente, ma diciamo l’equivalente di qualche centinaio di migliaia di euro in beta di mercato). Non potendo annullare quel rischio, l’unica è accettarlo e mitigare gli effetti con una buona gestione della liquidità e della spesa (ad esempio, mantenendo un fondo di emergenza ampio per i periodi di magra).
  7. Analisi di sensitività: Esaminiamo come varia la strategia al variare dei parametri principali: - Correlazione reddito-mercato: Questo è il fattore chiave. Se la correlazione fosse minore (es. l’imprenditore operasse in un settore i cui cicli non sono strettamente legati al mercato azionario generale), l’urgenza di disinvestire dalle azioni sarebbe minore. Ad esempio, con $\rho = 0,3$ invece di 0,7, il suo reddito avrebbe una componente di rischio più idiosincratica. In tal caso potrebbe permettersi una certa quota azionaria nel portafoglio finanziario – magari non 70%, ma forse 30-40%. Viceversa, se la correlazione fosse 1 (caso estremo: il suo reddito è praticamente un’azione indicizzata), allora dovrebbe davvero evitare qualsiasi investimento azionario e tenere solo bond. In generale, più il reddito è correlato al mercato, più il portafoglio dev’essere difensivo[26]. - Tasso di sconto / rischio intrinseco: Se il business dell’imprenditore maturasse diventando più stabile (quindi rischio inferiore, tasso di sconto più basso), il valore di H effettivo aumenterebbe. Paradossalmente, però, un H maggiore qui potrebbe significare ancora più esposizione azionaria implicita, quindi il portafoglio finanziario resterebbe prudente. D’altro canto, un rischio inferiore spesso implica anche correlazione minore (magari l’azienda trova fonti di ricavi più diversificate dal ciclo di borsa), quindi quello avrebbe un impatto opposto. Per semplicità: se l’attività diventasse più sicura e meno ciclica, l’imprenditore potrebbe gradualmente aumentare la componente azionaria negli investimenti, perché il suo capitale umano si sta trasformando da equity-like a più bond-like. - Volatilità del reddito: Ipotizziamo che i €80k possano oscillare moltissimo (alta volatilità idiosincratica) ma la correlazione col mercato resti moderata. Anche in questo caso, un’elevata incertezza sui flussi di cassa personali consiglierebbe di mantenere più liquidità e investimenti sicuri, indipendentemente dalla correlazione. Inoltre, volatilià elevata riduce il valore certo equivalente del reddito (ossia aumenta $r_d$ effettivo se consideriamo l’utilità attesa), il che abbassa H/W. Un H/W più basso tende a ridurre l’impatto sulle scelte di portafoglio. In estremo, se l’attività è così rischiosa da rendere il valore di H modesto, l’imprenditore in realtà non ha più così tanta “ricchezza implicita” da dover hedgiare. Nel nostro esempio, però, H è ancora significativo, quindi anche con volatilità alta il consiglio rimane di essere prudenti negli investimenti finanziari.

Sintesi per l’esempio 2: Questo investitore vede gran parte del suo rischio totale provenire dal proprio lavoro. Una strategia di portafoglio sensata è investire i 300k principalmente in asset a basso rischio (titoli di Stato, obbligazioni investment grade, magari un po’ di oro o immobili per diversificare), mantenendo liquidi fondi per opportunità o emergenze. Così facendo, in caso di crisi di mercato la perdita di reddito sarebbe in parte attenuata dalla tenuta del portafoglio obbligazionario. Al contrario, se i mercati vanno bene e anche il suo business prospera (redditi alti), è vero che il portafoglio prudente renderà meno, ma l’investitore beneficerà comunque di maggior ricchezza via redditi. Questo secondo scenario mostra come capitale umano e finanziario si compensano: l’uno prospera quando l’altro è difensivo, e viceversa. In definitiva, per un imprenditore con capitale umano rischioso è cruciale non eccedere in rischio anche con i risparmi, altrimenti il rischio complessivo diventa talmente concentrato da mettere in pericolo il patrimonio familiare in caso di eventi avversi[8].

Conclusioni

Il capitale umano è un elemento spesso trascurato ma di fondamentale importanza nella costruzione di portafogli ottimali per investitori privati. Abbiamo visto che rappresenta il valore attuale dei futuri guadagni da lavoro e può essere concettualmente assimilato a una grande posizione in un asset non negoziabile – posizione che però influisce sul profilo di rischio complessivo. Integrare il capitale umano nelle scelte di asset allocation significa adattare la composizione del portafoglio finanziario in base alla natura di questa ricchezza implicita: se il lavoro fornisce un reddito sicuro e stabile (un “obbligazione” umana), l’investimento finanziario può permettersi (e dovrebbe tendere a) più rischio azionario; se invece il lavoro è incerto e volatile (un “azione” umana), è prudente controbilanciare con più obbligazioni e asset sicuri. Questa integrazione rende il portafoglio personalizzato sulla situazione dell’investitore, migliorando la diversificazione totale. I casi numerici mostrano inoltre l’importanza di ribilanciare tali scelte nel tempo e al variare delle condizioni: man mano che il capitale umano si consuma o cambia di rischio, l’asset allocation andrebbe rivista per restare efficiente. In conclusione, considerare il capitale umano nella pianificazione finanziaria conduce a scelte più consapevoli e ottimali, evitando di sovraesporsi ai medesimi rischi su fronte lavoro e investimenti, e massimizzando il rendimento atteso per un dato livello di rischio complessivo[26]. È un approccio olistico che un buon consulente finanziario dovrebbe adottare soprattutto con clienti in età lavorativa, bilanciando in modo integrato tutte le componenti della loro ricchezza.

Riferimenti

Bodie, Z., Merton, R.C., Samuelson, W.F. (1992); Campbell, J.Y., Viceira, L.M. (2002); OECD (2012) Measuring Sustainable Development; Consob (2004) Le scelte di portafoglio nel risparmio previdenziale; Biagio Del Prete (2022), Dividere il portafoglio in tre, non dimenticando il capitale umano; Investopedia (2022), Human Capital’s Impact on Investors.

[1] [2] [4] [7] [9] [23] [26] Human Capital's Impact on Investors
https://www.investopedia.com/articles/younginvestors/09/human-capital.asp

[3] [10] Capitale umano: cos’è, come si calcola e come proteggerlo
https://www.lucalecchini.com/blog/capitale-umano-definizione/

[5] ecb.europa.eu
https://www.ecb.europa.eu/events/pdf/conferences/131017/papers/Session_3_Fagereng.pdf?01933346814bac7658a7aab2d76a4c31

[6] [16] [17] [18] [19] [20] [21] [24] [25] Lec_4_Human_Capital_Background_Risks_and_Optimal_Portfolio_Decisions20190918104650 (1).pdf
file://file-R5jmXxCgu7FBv3QdjKTVtU

[8] Dividere il portafoglio in tre, non dimenticando il capitale umano • Biagio Del Prete
https://www.biagiodelprete.it/dividere-il-portafoglio-in-tre-non-dimenticando-il-capitale-umano/

[11] Lec_4_Human_Capital_Background_Risks_and_Optimal_Portfolio_Decisions20190918104650.pdf
file://file-39aiidxoHeZVaqFk52tWD1

[12] [13] [14] [15] Microsoft Word - inarcassa_oct2003.doc
https://www.cerp.carloalberto.org/wp-content/uploads/2008/12/le_scelte_di_portafoglio.pdf

[22] Tim Isbell online - Human v Financial Capital
https://www.isbellonline.org/personal-finance/investments/asset-allocation-basics/human-v-financial-capital